Periodico: Ancona-Provincia:
“RITRATTO D’ARTISTA-ROSA AMATO” di Stefano Trojani.

La pittura di Rosa Amato non è soltanto l’espressione di una formula scelta a porre l’artista alla pari con tanti altri sulla linea della falsa contemporaneità concepita come avanguardia e sperimentazione, ma piuttosto apertura alla invenzione e a un attento e poetico ripensamento della realtà quotidiana. Anche quando questa rappresentazione della realtà sembra opaca e lontana, pure letta fino in fondo, la pittura dell’Amato tradisce sempre il fatto commemorativo.Il rapporto tra memoria e sensazione è chiaramente evidente nei paesaggi, meno in quelle superfici pittoriche dove l’intento primo tende al recupero dei valori astratti e decorativi,ed anche nei tessuti grafici ove appunto i segni hanno una supremazia sulla stessa cromia ,che di solito invece costituisce il vero elemento di ricerca. Il colore, la luce, portati ad una tumultuosa alternanza con un uso quasi insolito dell’intera gamma delle variazioni in spazi fisici limitati ,angusti compositivamente rendono questa pittura quasi sempre uno spartito musicale. Le difficoltà dei raccordi sono sempre superati da una naturale disposizione dell’artista alla comprensione del valore e della disponibilità di ogni timbro,come per la luce alla intensità delle cadenze. La superficie non rimane mai piatta e uniforme, perché l’artista, con equilibrata ma anche ardita perizia della grafia, ora secca,ora marcata, ora molto lineare e continua, ora tutta contorta e vibrata,ne spartisce la spazialità,così da assegnare ad ogni estensione una variante quasi naturale del riporto coloristico. La poesia di questa pittura non è tanto derivata quindi dalla bellezza formale e tanto meno da un richiamo di ordine ideale, quanto appunto dalle risultanze dell’uso e della disposizione dei timbri cromatici e luminosi. Questi accordi, ricavati anche dal contrasto, sono maturati dall’armonia interna nel ripensamento del momento d’ispirazione, più che nel fatto rappresentativo. Se questo motivo occasionale, cioè il progetto della rappresentazione naturalistica, emerge talvolta come chiara evocazione,-pensiamo agli scorci paesaggistici-negli esiti finali, non risultano immagini valide in sé, ma quasi sempre come visioni immaginate tendenti ad una funzione di supporto alla creatività musicale, dell’accostamento dei colori e dei segni. …..E’il mondo interiore dell’artista che si rivela in pagine d’intensa emozione, dove invenzione e fantasia stimolano la creatività per impulsi rapidi e tumultuosi. Il ripensamento intellettuale è verificabile più come ricordo che come momento di appropriazione e di trasposizione; le regole pertanto della riproduzione delle cose belle perché viste, tali conservano un ruolo molto fievole e occasionale;il valore più autentico s’instaura in quello che nasce di nuovo nel misterioso impatto tra il mondo reale e lo spirito dell’uomo. Giustamente un critico ha scritto dell’Amato «A cogliere questo rapporto Rosa Amato si è trovata soccorsa da una memoria toccante della prima infanzia, il mondo colorato e vibrante della campagna del sud,.che nella rievocazione artistica le consente di reinventare quell’antica realtà in una dimensione lirica che scopre in ogni elemento le metafore della propria poesia ».

Alberto Mirarchi da:“La Provincia Pavese”

La tavolozza intesa come evoluzione fantastica, l’evocazione come messaggio di poesia, la poesia vissuta come prassi quotidiana d’arte.

Mario Giacomelli

Rosa Amato si pone davanti alla realtà per fare spazio alla propria vita inventiva dell’inconscio in un agire come esistere, senza rappresentare o esprimere una cosa oggettiva, ma esplodendo la tensione accumulata nel suo spirito dalle cose che la circondano. Supera ogni problema formale per sgorgare in un movimento di segni che sono dialoghi aperti che eccitano la fantasia per una partecipazione nuova del quadro, con una dinamica spaziale che ha senso d’infinito sospeso al di là del tempo. I colori caldi e sensuali sembrano volere, in una interiorizzazione della realtà, evocare la sua terra natale come in un cantico di gioia. Rosa Amato scioglie le forme nell’atmosfera pittorica con una straordinaria capacità creativa che è spazio dello spirito e recepimento di una forza espressionistica astratta.

Franco Ruinetti

Una pittura da vedere, quella di Rosa Amato, non da raccontare. Lo stesso vale certamente per tutti i quadri, ma per i suoi vale in modo particolare. ………L’aspetto peculiare che emerge al primo impatto con queste opere è che in una zona della superficie dipinta si afferma, con voce cromatica alta, un particolare, può essere una finestra, un’inferriata, un catenaccio. Anche le restanti campiture sono lavorate,ma sembra che si allontanino nelle diluizioni dell’attenzione. E non si può essere in disaccordo con l’artista, la quale rispetta fedelmente la realtà della visione Infatti dobbiamo convenire che quando guardiamo con interesse un oggetto noi recepiamo e realizziamo nel nostro schermo mentale quello,mentre il resto del contesto, nel quale esso è inserito, si sfuoca e perde forza. Quindi Rosa Amato riferisce una verità, che pur essendo a tutti nota,non risulta essere stata rispettata se non raramente. Però i suoi quadri non sono riducibili ai soli elementi che balzano in primo piano. Chè,se li isolassimo dai. loro insiemi, perderebbero gran parte dei significati e le armonie cromatiche non vivrebbero più nella compiutezza dell’equilibrio. Gli argomenti privilegiati rappresentano una tematica inconsueta, forse unica.Sono, in genere, brevissimi scorci non nel nuovo, ma nel vecchio, nell’abbandono, quasi scintille del passato, per cui il tempo si dirada. Si assiste al recupero netto e perfettamente sillabato di una nota, quello molto più distante. Frammenti di memoria, soprattutto piccoli episodi colmi di fascino, di quiete, di nostalgia. C’è, in questi quadri, una sintesi, che è importante, tra figurativo e non figurativo. I particolari, di cui dicevamo,sono realizzati con disegno esatto, che denota perizia e talento. Sui suoi muri, sulle sue porte sulle quali l’autrice sa comunicare che sono passate periodicamente molte mani di vernice, c’è, invece, la massima libertà.C’è in essi il tempo che graffia, lava, consuma..Sono belle certe lacerazioni, interessanti certi valori cromatici che ne lasciano trasparire altri con i quali vanno però a perdersi nelle evanescenze. Eppure in opere come queste, fatte di uno o pochi elementi pulsant e di altri che tendono agli stemperamenti anche estremi, c’è sempre la saldezza dell’unità.

Terenzio Montesi

Arena Bianca, poco oltre Eboli, è il teatro della memoria della pittrice Rosa Amato. Cristo s’è fermato prima. Il paese si scioglie in un bicchiere d’acqua colorata senza le inutili nostalgie o i rimpianti ingannevoli. L’emozione, nell’esercizio del ricordo, concede alla poesia un ruolo marginale, la rievocazione dei sapori che impregnano il villaggio dell’infanzia nulla concede ai sentimentalismi, è sottesa, semmai, una dolente denuncia.Per questo, mentre si affaccia sui vicoli consunti, patisce le esitazioni e le paure di svelare un segreto. Sarà per quel soffuso procedere orizzontale del segno, sulla geometria delle pietre e dei mattoni che non hanno la squillante stesura del colore, perduto, stinto, lontano, slavato dalle piogge e cotto dal sole del sud. Avanzano le stagioni implacabili che annullano la freschezza del primo stupore. Rosa Amato ha rivoltato la clessidra. I muri sono quelli che ha interrogato quando aveva l’età magica che accende i primi sogni: dai due agli otto anni. Il legame storico con le lontananze è stretto nella sofferenza dei primi distacchi, collegio e lavoro lontano dalla piccola geografia di Arena Bianca. In questa ultima produzione, che ricorre all’acquarello per fissare l’immediatezza dell’insorgenza mnemonica, la pittrice racconta senza sbandierare appartenenze, scuole o appendici di esse, al limite, vorrebbe dire senza ricorrere al colore o al disegno, libera com’è, da legacci e sudditanze: per lei la pittura è un modo d’essere più che di fare. Figlia persa di questa nascosta porzione dell’Italia dimenticata Rosa Amato mette in mostra queste carte di mattone, nella fissità smorta dell’apparato murario, per comunicare denuncia prima e pentimento poi per avere messo in mostra gli stracci di casa che sventolano solitudine e miseria.La confessione di questo segreto svelato costa vergogna e dolore e innesca quel processo conflittuale che inibisce ogni sorta di esibizione.Ecco l’anomalo procedere dell’artista nel panorama della produzione pittorica marchigiana.E quando tira fuori dalla cartella le carte ancora umide cercando di dare voce alle emozioni, si avvertono pudore e tristezza,.reticenze e prolungati silenzi. Il muro della prima infanzia è l’evento della narrazione: ogni foglio un capitolo, un ridestato atteggiamento di contemplazione.Con un carico di pesanti inquietitudini. Nello sradicamento geografico e nella stagione della maturità ogni frammento della memoria assume forma e consistenza divenendo matrice consolatoria ma anche supplizio dell’anima. Con quanta sofferenza sfila i fogli acquerellati! Quanta energia nello sforzo di annodamento di mille fili che sf uggono e si sovrappongono, intrecciandosi. Perché gli occhi di bambina sono ancora lì, fissi a scrutare le pareti spente delle case abbandonate, le porte e le finestre, oltre le quali non si avvertono né lamenti, né preghiere, né insulti. E’ sola. La mosca, la zanzara, la farfalla sono nei campi,a infastidire le spigolatrici, gli animali patiti nel pascolo avaro, il mulo che stenta il traino dell’aratro. Il vissuto, nel ricordo di una bambina dai capelli neri, minuta e svelta nella ricognizione, non ha volti da interrogare. Non c’è il più leggero bisbiglio dietro le inferriate delle finestre alte, né pianti, né le voci consuete di un litigio.Lungo il muro sono sparite comari e bevitori sfaccendati. Un muro, due occhi neri che scrutano e tracciano i confini del mondo.Il risultato è un paradosso: l’atteggiamento lirico sconfina nello spazio onirico ma dà anche il destro all’amara riflessione sull’esistenza che pesa sui senza patria. Ma come tutti gli esuli Rosa Amato ricerca, pur nella amarezza più cocente espressa nelle sequenze impresse in anni lontani, l’autenticità delle radici e il sofferto riscatto della dimenticanza. In questi ultimi anni la pittrice senigalliese è riuscita a decodificare i segnali che provengono dalla fanciullezza con l’umile lavoro di ricucitura con l’unico linguaggio che possiede, fissando sulla carta forme e colori ripercorrendo le strade di Arena Bianca. La memoria ha mani che non riempiono la scena, ma scartano; le unghie graffiano alla ricerca di quello che non c’è più. Rinvenire la scrittura oltre la settima mano di vernice rivela la “damnatio memoriae”d’un potentato passato di moda. Ma rimpiante le “morte stagioni”, si scopre un presente senza senso perché senza avvenire. L’indagine della Amato, nel grande murale che raffigura la memoria storica di un paese del sud, coincide con l’urgenza di un intervento. Con la consapevolezza di essere espressione di una soggettività marginale e quindi impotente. In questo mondo di urlatori l’artista non cerca protezioni, né complici alchimie miracolistiche invocando santi e protettori, né sollecita panacee risolutive per ridare voce ai silenzi profondi delle omissioni Anzi, sulle scritte del murale primordiale non si accenna allo sberleffo anarchico o alla ribellione contro ogni sopraffazione, c’è il silenzio, lo stesso delle porte e finestre che prendono aria sui vicoli di pietra e di abbandoni..Dietro il muro quindi non c’è anima viva, né suoni oltre le aperture, né significati sul muro graffiato dove le parole scritte esprimono rattrappiti non sensi. La pittura di Rosa Amato è dunque dolore e rabbia insieme e un sopito senso di colpa per la fuga e le maledizioni. Non riesce a perdonare né a perdonarsi il mancato colloquio con la gente che è sua, rassegnata e litigiosa non importa. Lei si è data alla fuga pur di non malarsi di codardia. Se rimpianto c’è e vivo, è per quei due occhi di bambina che cercava, sui muri del suo paese, sognando, il mare azzurro e un grande orologio con le lancette veloci, per far volare il tempo oltre la monotonia dei giorni inutili. In uno degli ultimi lavori Rosa Amato configge, sul pallore di un muro cadente, un cerchio di ferro, una grande vera arruginita. Ma non sa, nell’ambivalente lettura del sogno, se il cerchio rappresenta l’ancoraggio ultimo della catena delle costrizioni, o l’invito a intrecciarvi le redini del cavallo stanco del lungo viaggio. Ancora una volta l’inquietitudine porta il dubbio. Amore e ripulsa.,gli epigoni del pendolo nel suo pietoso oscillare.